Informazioni

INFORMAZIONI UTILI 

Sfrattare un inquilino che non paga
La cosa più importante da fare in caso di mancato pagamento da parte dell’inquilino e si vuole riottenere le chiavi dell’immobile è informarsi adeguatamente su tutte le procedure che si possono attuare nel proprio caso specifico, e l’unico che possa fornire le informazioni dettagliate è un Avvocato esperto nella materia.

Compilando il form con i propri dati ed una breve descrizione della propria situazione, nel giro di massimo 24 ore riceverete una prima valutazione del vostro problema, completamente gratuita, che vi aiuterà ad inquadrarlo correttamente dal punto di vista legale.

Cosa sono gli sfratti
Lo sfratto è l’azione predisposta dall’ ordinamento per consentire ai proprietari di unità immobiliari concesse in locazione di riottenere il possesso dell’immobile in caso di scadenza del termine del contratto locatizio (sia esso abitativo, commerciale o di diversa natura), o in caso di morosità dell’inquilino nel pagamento dei canoni o delle spese accessorie in misura pari o maggiore a due mensilità di canone.

Come funzionano gli sfratti
1. L’intimazione e contestuale citazione

Lo sfratto (o la licenza) per morosità o per finita locazione, consiste in una formale “intimazione” all’inquilino moroso o con il contratto in scadenza o scaduto, a lasciare libera l’unità immobiliare da cose e persone riconsegnandola nella piena disponibilità del proprietario.

Nello stesso atto di intimazione è contenuta la contestuale “citazione” a comparire in udienza avanti al Tribunale competente per la convalida dello sfratto o della licenza da parte del magistrato.

L’atto con l’intimazione e con la citazione viene notificato tramite l’ufficiale giudiziario all’inquilino che viene invitato a comparire in Tribunale per la data e l’ora che è stata preventivamente “prenotata” presso la cancelleria del Tribunale, e che, generalmente è fissata nel giro di 40/45 giorni dalla richiesta.

2. L’udienza
All’ udienza fissata possono verificarsi alcune diverse situazioni:

L’inquilino compare (o non compare) e non contesta: il magistrato convalida lo sfratto e fissa un termine (generalmente a 30 giorni) all’ inquilino per lasciare libera l’unità immobiliare;

L’inquilino compare e, nel caso di morosità, chiede il cosiddetto “termine di grazia”: il magistrato fissa un termine non superiore a 60 giorni all’ inquilino per pagare quanto oggetto della morosità, oltre alle spese legali del procedimento, e fissa una nuova udienza per verificare se il pagamento sia avvenuto.

Se il pagamento è avvenuto l’azione di sfratto “decade”, ma può essere utilizzata in una successiva azione di sfratto a dimostrazione del fatto che vi è una ricorrente inadempienza del conduttore/inquilino; se invece l’inquilino non ha pagato, il magistrato procede come al punto 1) convalidando lo sfratto.

L’inquilino compare e propone opposizione (caso abbastanza raro): il magistrato su richiesta del proprietario fa una valutazione “sommaria” dell’opposizione e dei motivi e può emettere una ordinanza provvisoria di rilascio (che funzione come la convalida dello sfratto), disponendo la trasformazione del processo da monitorio/sommario ad ordinario, fissando una nuova udienza per la prosecuzione.

3. L’esecuzione
Ottenuto il provvedimento di sfratto, di licenza, o provvisorio di rilascio, occorre predisporre e notificare l’atto di precetto che consiste nell’ intimazione all’ inquilino di lasciare libera l’unità immobiliare entro 10 giorni dal termine fissato dal magistrato con il provvedimento. Notificato l’atto di precetto, se l’inquilino non ha liberato spontaneamente l’immobile, si predispone e si consegna all’ ufficiale giudiziario la cosiddetta “monitoria di sgombero” che consente all’ ufficiale giudiziario, nei tempi concordati con il Prefetto per avere a disposizione la forza pubblica per eseguire materialmente lo sgombero (più rapidi in caso di morosità per venire incontro alle esigenze del proprietario che non percepisce i canoni, meno in caso di contratto scaduto), di eseguire la liberazione “forzata” dell’immobile per riconsegnarlo al proprietario.
Perché negli sfratti è essenziale agire tempestivamente sfrattare un inquilino che non paga .
Quando in un contratto di locazione, sia esso commerciale, abitativo, o di altra natura, si verifica una morosità o un ritardo nel pagamento dei canoni, o si avvicina la data di scadenza, è essenziale per il proprietario attivarsi con la massima tempestività per ottenere la liberazione dell’unità immobiliare locata.

In caso di morosità il motivo è evidente:
Il mancato o ritardato pagamento del canone, a meno che non si tratti di un disguido, è sempre sicuro indice di una difficoltà economica dell’inquilino, che evidentemente non ce la fa ad affrontare l’esborso mensile e puntuale dei canoni, ed è più che verosimile che il mancato pagamento o il ritardato pagamento del canone, è destinato a ripetersi in futuro.

La tempestività dell’azione di sfratto in questo caso limita il danno.

La liberazione dell’unità immobiliare in una situazione del genere è “prioritaria” per poter locare l’immobile nei tempi più brevi possibili ad un diverso conduttore che offra maggiori garanzie di pagamento.

Ogni mese che passa è un canone in più che sarà difficile incassare, anche tramite le più opportune azioni giudiziarie.

Questo perché spesso il conduttore/inquilino moroso, farà di tutto per sottrarre le proprie disponibilità ad ogni ipotesi di recupero del credito.

A maggior ragione è essenziale agire tempestivamente in caso di locazione commerciale perché è noto che in questi casi l’accertamento della morosità a carico dell’inquilino, solleva il proprietario dall’onere di corrispondergli alla risoluzione del contratto di locazione “l’indennità di avviamento commerciale” pari a 12 o 18, a seconda dei casi, mensilità del canone, cosa che costituisce in enorme vantaggio per il proprietario.

E’ importante sapere che:
I costi dello sfratto sono liquidati dal Giudice in base ad una tabella predeterminata.

Infatti, vengono posti dal Giudice a carico dell’inquilino, per cui il cliente deve solo “anticipare” i relativi esborsi, perché in seguito disporrà del “titolo esecutivo” per farseli rimborsare dall’inquilino.

C’è un vecchio detto latino, di quelli che piacciono tanto agli avvocati, che dice:

“Vigilantibus, non dormientibus, jura succurrunt” (“Il diritto aiuta coloro che “vigilano” e non dormono”).

Responsabilità penale delle società: come difendersi!!!!!
Il decreto legislativo 231 del 2001 ha introdotto la responsabilità penale degli enti, società e associazioni, che a qualunque titolo svolgono attività di impresa, congiunta a quella della persona fisica che pone in essere un illecito penale nel suo interesse o a suo vantaggio, con incidenza in ultima istanza sugli interessi economici dei soci.

Ne consegue come una società, a seguito di un reato commesso da persona che riveste funzione di rappresentanza, di amministrazione o direzione e da persona ad essa sottoposta, salvo che questi abbia agito nell’ esclusivo interesse personale, può incorrere in provvedimenti sanzionatori, aventi duplice natura: pecuniaria ed interdittiva.

La pena pecuniaria può raggiungere massimali elevatissimi (a titolo semplificativo , per taluni reati se dal fatto-reato l’ente ha conseguito un profitto, la pena va da un minimo di oltre 50 mila euro ad un massimo di quasi 10 milioni di euro).

La pena interdittiva, che può essere comminata anche in via cautelare, comporta il divieto di contrarre con la P.A., l’esclusione di agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi con revoca di quelli eventualmente già concessi, il divieto di pubblicizzare beni o servizi, fino ad arrivare all’ interdizione dell’attività e alla confisca.

I reati in questione sono quelli inerenti ai rapporti con la P.A. che vanno dalla corruzione al peculato, dalla malversazione alla indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato oltre ai reati societari e di falso, mentre con la l. 146/2006 si è estesa, tra le altre, alla responsabilità degli enti in ordine ai reati di criminalità organizzata e di riciclaggio.

Tuttavia il decreto 231/2001 prevede ed afferma l’esonero da responsabilità dell’ente se dotato di effettivi modelli organizzativi gestionali e di controllo, che in quanto tali debbono prevedere l’identificazione delle sfere di attività rischiose; la determinazione di un codice etico-comportamentale; la predisposizione di un autonomo organismo di controllo.

La diffusione di tali modelli è andata ad accrescere negli anni anche in considerazione della continua espansione della materia, al punto che si prevede in un prossimo futuro che le principali società ed enti predisporranno l’inibizione a trattare con società o enti sprovvisti di un modello organizzativo, così da evitare il coinvolgimento in vicende giudiziarie.

Esemplificativo è il dato che vede l’85% delle imprese statunitensi che, a partire dal 1991 ad oggi, si sono dotate di analoghi modelli organizzativi.

L’idonea predisposizione del Modello di organizzazione, gestione e controllo e la predisposizione di un preposto organismo di vigilanza sono requisiti dirimenti per l’Ente che li adotta, e con effetto giuridico per la tutela di carattere penale e con effetto d’immagine imprenditoriale, che ne deriva.

Ne consegue come la predisposizione dei Modelli organizzativi e l’esercizio della vigilanza sono attività che richiedono una competenza specifica che non può essere delegata, come purtroppo spesso accade, ai prestampati non specifici acquistabili nei negozi specializzati di cancelleria, o, peggio che mai, copiati da internet, ma debbono essere gestiti da professionisti che sappiano interpretare al meglio le peculiari necessità di ciascuna azienda.

SENTENZE

RESPONSABILITA’ GENITORIALE

PRIVAZIONE DEL RAPPORTO PARENTALE

DIRITTO CIVILE

TRIB. MILANO SEZ. IX, 23/07/2014, in “Resp. Civ. e Prev.” 2015, 2, 557
Qualora uno dei genitori venga meno al proprio dovere di mantenimento, istruzione ed educazione, privi di tale rapporto il minore, quest’ultimo ha diritto al risarcimento del danno anche di natura patrimoniale quantificato anche in via equitativa.

Cass. sez. I, 05/03/2014 n. 5097, in “GCM” 2014
Nel procemento finalizzato all’accertamento del diritto del minore a conservare rapporti significativi con gli ascendenti ed i parenti del genitore scomparso, il comportamento ostativo del genitore superstite costituisce condotta pregiudizievole secondo la previsione degli art. 330 e segg. cod civ., poichè comporta la rescissione, nella fase evolutiva della formazione della personalità del ragazzo, di una sfera identitaria assolutamente significativa, e lo espone ad una vicenda esistenziale particolarmente dolorosa.

NULLITA’
Sentenza n. 814
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I CIVILE Sentenza 19 novembre 2008 – 15 gennaio 2009, n. 814

ll riconoscimento degli effetti civili della sentenza di nullità del matrimonio concordatario, pronunciata dai Tribunali Ecclesiastici, non è precluso dalla preventiva instaurazione di un giudizio di separazione personale tra gli stessi coniugi dinanzi al giudice dello Stato Italiano, giacché il giudizio e la sentenza di separazione personale hanno “petitum”, “causa petendi” e conseguenze giuridiche del tutto diversi da quelli del giudizio e della sentenza che

VIOLENZA IN FAMIGLIA
Stalking (612 bis c.p.)

L’art. 612 bis c.p. punisce il reato di Stalking con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, “con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”.

Tutela delle donne vittime di violenza

Violazione degli obblighi di assistenza familiare (570 c.p.)

Maltrattamenti in famiglia o verso i fanciulli (572 c.p.)

REGIME PATRIMONIALE
Sentenza 4329/2000

Regime Patrimoniale
SCIOGLIMENTO COMUNIONE EREDITARIA: LA VALUTAZIONE DEL DIRITTO DI ABITAZIONE DEL CONIUGE SUPERSTITE.

La Suprema Corte di Cassazione con sentenza 4329/2000, ha stabilito che: “In tema di successione necessaria, la disposizione di cui all’art. 540 comma 2 cod. civ. determina un incremento quantitativo della quota contemplata in favore del coniuge, in quanto i diritti di abitazione e di uso (quindi, il loro valore capitale) .